Un breve racconto, un salmo moderno, che presenta un’ebreo, nel ghetto di Varsavia, novello Giobbe, spogliato d’ogni affetto, nudo e pronto a morire sotto i colpi di un cupo persecutore. Si rivolge a Dio in un’ultima preghiera, consapevole che il suo rapporto con lui è cambiato, ma non è venuta meno la sua fede.
Questo il messaggio del combattente, rinvenuto in una bottiglia sotto le macerie del ghetto della città polacca, luogo di massacro e di orrore al pari dei campi di concentramento, che saranno poi l’emblema dell’assurdità di tanto dolore.
O forse è solo il racconto di un ebreo lituano, fuggito prima della guerra in Palestina, che pubblica come autentico un proprio racconto, così verosimile che appare reale.
La finzione di un racconto o la cronaca di una devastante realtà? Negli ultimi istanti di quest’uomo troviamo racchiusa forse la nostra vita.
La giornata della memoria ci impone di ritornare a quanto accaduto, a quanto dolore l’uomo può causare, perché tutto questo non succeda più.
Ora più che mai, ora che il tempo allontana dai fatti, che le voci dei sopravvissuti si spengono, ora che l’uomo, tristemente, ripercorre identiche strade di morte.