ARONAMEN: la mia prima gara di Triathlon

ARONAMEN: la mia prima gara di Triathlon

Swim, Bike, Run; 112,9 km di emozioni.

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E’ un caldo sabato pomeriggio di fine luglio e di questi tempi, con un meteo così pazzerello, non è poi scontato avere caldo e sole.

Autostrada A4 direzione Novara; sto andando a disputare il mio primo Triathlon, nello specifico nella distanza cosiddetta media.

Il Triathlon, per molti conosciuto come Ironman, è uno sport multidisciplinare di resistenza nel quale l’atleta copre nell’ordine una prova di nuoto, una di ciclismo e una di corsa, senza interruzione; la distanza che viene definita media è composta da 1.9 Km di Nuoto, 90 km di Bici e 21 km di corsa.

Mentre guido la mente ripercorre la settimana prima della gara, a quella maledetta caduta in bici; non è da molto che vado in bici ma fino a 6 giorni prima non ero mai caduto, anche se i ciclisti “veri” mi avevano avvisato: tutti i ciclisti cadono… ma farlo a una settimana dalla gara non è stata una genialata.
A parte lo spavento e qualche crosta sul gomito e sull’esterno coscia, stavo benissimo, tanto è vero che ho continuato il mio giro facendo altri 50 km.
In settimana sono uscito come di consueto, tutti i giorni in pausa pranzo a correre, senza accusare il minimo dolore; venerdì sono andato anche in piscina, ma sono bastate poche vasche per accusare una fitta lancinante sul gluteo sinistro.
Ho fatto la mia oretta di nuoto usando solamente le braccia, ma il dolore non passava.
A mezzogiorno ho provato ad uscire a correre e dopo solo 2 km, per la prima volta da quando corro, mi son dovuto fermare: il dolore era troppo forte.
Ero immobile nel parco di Cernusco e fissavo nel vuoto il Naviglio: mancano poco più di 40 ore alla gara Aronamen e io non riesco neanche a camminare; lo sconforto va a braccetto con la rabbia; provo a ricominciare a corricchiare, il dolore persiste ma riesco a ritornare al lavoro, sul finale sembra che il dolore sia diminuito; mi risollevo di morale pensando che sia solo un nervo accavallato (solo più tardi scoprirò che i nervi non si accavallano!).

Dopo la doccia un mio collega mi dice di chiamare un massaggiatore/fisioterapista; bell’idea ma chi?
Non ho mai avuto a che fare con loro.
Poi mi viene in mente Mattia, un amico che conosco da appena 3 mesi.
Lo contatto e viene a casa mia la sera.
Il colpevole di questo dolore è il piriforme (e chi lo conosceva? Io non ce l’ho mai avuto!).
Mi mette gli elastici colorati che adesso vanno tanto di moda e mi raccomanda, se proprio non posso saltare la gara (ho fatto anche la prima ceretta della mia vita per andare in bici e non voglio sprecare tutto quel dolore invano), di stare tranquillo e non esagerare.

Il problema delle gare di Triathlon, specialmente su queste distanze, è che non sono frequenti e soprattutto non vicine da raggiungere.
Se si salta una gara a volte bisogna aspettare sei mesi, un anno.

Ritorno in me quando il beep del Telepass mi avvisa che siamo in prossimità di Arona.

Insieme ad Alberto, Presidente della società di Triathlon dove sono iscritto, scarichiamo le bici dalle rispettive macchine e ci dirigiamo al ritiro pacchi gara.
Mi godo la vista del lago, che come luogo mi ha portato fortuna nella mia prima maratona (anche se era il lago di Iseo); speriamo porti bene anche domani.
Il tempo di mettere le bici in zona cambio, controllarle e coprirle dalle eventuali intemperie per la notte, ed è già ora di cena.

Si cena sul lungo lago a base di pasta e birra (Carboload, ovvero carico di carboidrati) e si parla insieme agli altri ragazzi della società, della gara di domani; a dire il vero più che una discussione è una raffica di domande delle persone inesperte, tipo me, ai guru di questo sport.

Finita la cena mi dirigo verso l’hotel sapendo già che dormirò ben poco. Il tempo di sdraiarmi e sono già le 4,50: è ora di colazione.
Alle 5,30 passo a prendere Alberto & Co che sono in un altro hotel e ci dirigiamo verso Arona.

Entro in zona cambio, scopro la bici, ricontrollo la pressione dei pneumatici e metto le scarpe da bici e da corsa sulla parte sinistra della bici (come da regolamento).

Con il body già indossato mi dirigo verso la zona di partenza della frazione nuoto, che si trova a circa 300 m dalla zona cambio, e Matteo mi da un paio di dritte per indossare la muta.
Sono già accaldato dalla vestizione ma alle parole “dai che entriamo nel lago a provarla” mi viene la pelle d’oca!
Penso di aver nuotato pochissime volte nel lago e non di certo alle 6,40!!!
Appena bagno i piedi scopro con immenso stupore che l’acqua non è affatto fredda, e il tempo di mettere cuffia e occhialini, fare un paio di bracciate e il megafono richiama gli oltre 600 partecipanti.

Il cuore è a mille, l’adrenalina non ne parliamo, suona la sirena! Si parte!
Si nuota per 300 m verso la costa opposta dove c’è una mega boa per poi girare a sinistra e si nuota per altri 300 m fino alla seconda boa, per poi tornare alla partenza, dove si uscirà e si rientrerà in acqua; Si dovranno effettuare 2 giri da 950 m

I primi metri sono un delirio: manate, calci, gente che ti passa sopra: qui non siamo in piscina, l’acqua è molto più scura e non si hanno le corsie; praticamente non si hanno riferimenti e spesso bisogna alzare la testa per vedere se si sta andando verso la boa, prima di trovarsi a Stresa senza saperlo; come suggerito dal mio Doc. Mattia uso solamente le braccia per non affaticare le gambe, ma la prima boa non arriva mai!
Quando un paio di partecipanti mi passano sopra capisco che sto andando dritto e la boa è alla mia destra, si svolta e si prosegue per la seconda.
La muta da un aiuto incredibile come galleggiamento e penetrazione nell’acqua, ma le bracciate sono molto più difficoltose; la seconda boa la passo con una traiettoria perfetta e mi dirigo verso la partenza; l’uscita dall’acqua non è proprio alla Mitch Buchannon ma non ci lamentiamo, salita, passaggio sul tappeto del rilevamento e discesa verso l’acqua; sciacquo gli occhialini e son pronto per il secondo giro; il secondo giro è molto più tranquillo anche perché gli squali sono già andati e le persone più lente sono dietro. Esco dall’acqua in 35’ comincio a tirare la cerniera posteriore della muta e corro in zona cambio.

Tolgo completamente la muta, infilo calze e scarpe da bici, casco (pena squalifica), prendo la bici e a piedi vado verso l’uscita della zona cambio.

Qui la partenza è un po’ difficoltosa dato che sono una 20ina di metri salita, un po’ gioca anche la frenesia e l’emozione ma faccio fatica a salire sulla bici, le scarpe scivolano sull’asfalto e una volta in sella non riesco ad agganciarmi ai pedali!
Dopo svariati tentativi ci riesco, arrivo in cima la salita e…….doloreeeee!!!

Nel momento più inaspettato un dolore lancinante al gluteo che mi prende la gamba: il piriforme!

Data la rigidità della sella delle bici da corsa faccio fatica a stare seduto e come se non bastasse non riesco neanche a prendere una posizione aerodinamica sulla bici.
Sono quasi perpendicolare, sembra che sto andando in paese a prendere il pane con una Graziella.
Faccio fatica a spingere, la media è molto bassa, gli altri atleti mi passano a fianco come dei treni, il dolore continua ad aumentare e sento freddo (anche perché il body che indosso è lo stesso che avevo sotto la muta nella sessione di nuoto ed è fradicio).
Mi infilo uno smanicato antivento e provo a mangiare una barretta ma il dolore è talmente forte che mi da nausea. Lacrime e sudore, rassegnazione e sconfitta, quello che non avrei voluto che accadesse si stava materializzando; mi dico che provo a fare 5 km, ma se il dolore non passa sarò costretto al ritiro.
Passano i chilometri ma il dolore aumenta e la mia “Dead Line” si avvicina.

Arrivato quasi al quinto km provo ad allungarmi molleggiandomi sulla bici in modo da distendermi sempre di più e riuscendo anche ad appoggiarmi sulle appendici del manubrio (Aerobars) per avere una maggiore aerodinamicità.
Il dolore ora è al suo apice massimo, stringo i denti e provo una marcia più dura: finalmente il contachilometri è oltre i 35 km/h con sempre più costanza; non so se sia stato il dolore che effettivamente è diminuito o il mio cervello che lo ha filtrato ma ora sentivo solo fastidio.
Godendomi la fantastica vista lago, dopo 36 km di piano sono pronto ad arrampicare: mi mangio un gel e sono pronto a farmi una salita di 9 km con un dislivello di 300 m.
Le gambe girano bene e i successivi 40 km sono un continuo saliscendi alternando ogni mezz’ora una barretta ed un gel, finendo le due borracce e riempendole ai 2 ristori.
Gli ultimi chilometri sono in discesa, ma dopo la mia caduta e la vista di un paio di ciclisti a terra, non scendo a “bombazza” come direbbe Brumotti (anche se i 67 km/h sono stati toccati).
Ultimo tornante, sento un vociare, è la zona cambio!
Anche questa frazione è stata fatta, e la mia paura più grande (foratura) è stata evitata.

Scendo dalla bici dopo 2h e 55’ ed entro in zona cambio; sento un po’ di fastidio al piriforme, tanto da accorgersi anche i ragazzi del team che mi incoraggiano a non mollare.
Appendo la bici al mio posto tolgo il casco e le scarpe da bici, mi infilo le scarpe da corsa, mangio un gel e riparto.

Esco dalla zona cambio per la frazione più “mia”; girato l’angolo vedo un tripudio di gente che applaude e incita le persone impegnate nell’ultima fatica: siamo in zona arrivo e si dovranno percorrere 4 giri da 5200 metri; il mio occhio cade sul traguardo ma per ora è molto lontano.

Bevo un bicchiere d’acqua e comincio a correre, le gambe ci sono ma preferisco andare cauto e non spingere troppo, per commettere l’errore di scoppiare nella disciplina dove mi sento più sicuro.
A differenza delle gare dove il giro è unico, i 4 giri mentalmente sono massacranti; in primis perché non sei distratto da immagini e luoghi nuovi ma ogni 5 km il tutto si resetta e secondo perché finito il giro vedi la gente che devia per il traguardo mentre tu devi fare ancora n giri.
Metto in stand by la mente bevendo acqua e Sali minerali ad ogni ristoro senza mai fermarmi, fino a quando non vedo un ragazzo accasciato sul marciapiede, all’estremo delle forze con accanto i volontari della croce rossa che gli alzano i piedi e lo coprono con la carta che io chiamo dell’uovo di pasqua; l’immagine mi destabilizza e di colpo le gambe diventano rigide, la mente ripete le frasi delle persone che mi dicevano “ma chi te lo fa fare”… sembra che non ne ho più; rivivo lo spauracchio che nella maratona viene chiamato muro del 35esimo chilometro, sul quale si sono infranti i sogni di molti atleti, dove ti trovi a combattere con il tuo corpo o con la tua mente, e a volte nel peggiore dei casi con entrambi.

Non posso mollare proprio ora, mi sento rimbombare in testa la voce di Ricky che mi chiama PA-PA, PA-PA e mi da quel minimo di forza per arrivare al fatidico bivio e prendere la direzione “ARRIVO”.

Dietro alle transenne vedo la “crew” della NoLimitsFriend Triathlon di Carugate che mi danno il Cinque, alzo la testa e lo vedo, lì a 40 m: il traguardo!
Durante i primi chilometri di bici non pensavo neanche di raggiungerlo; mi viene un groppo in gola, i battiti sono incalcolabili, l’emozione e tanta.

Da quando ho saputo di diventare Papà, in tutte le gare in prossimità dell’arrivo, mi infilo il pollice in bocca come portafortuna; è il mio modo per dedicare la gara a mio figlio. #runformybaby, anche questi km sono per te!

La gente applaude, lo speaker dice qualcosa che non comprendo; ultimo metro, faccio la salita del soppalco e sono sotto la scritta ARRIVO: I’M a FINISHER.
Riesco a malapena a trattenere le lacrime mentre l’organizzazione mi infila la medaglia che viene consegnata a tutti i finalisti.
Il mio battesimo del Triathlon è durato 5h 12’, ma poco importa, l’importante era tagliare quel maledetto traguardo.
Mentre mi dirigo verso gli altri del team, con il sorriso a 32 denti, vedo un papà stanchissimo che prende in braccio la figlia e taglia il traguardo, scatenandomi un pianto liberatorio.

Chiamo a casa e avviso che sono vivo, che ce l’ho fatta!

Mi bevo una birra…  la più buona che abbia mai bevuto!

Mentre vado a ritirare la maglietta di “Finisher” incontro Angelo, un mio ex allenatore di pallanuoto di quando avevo 15 anni che mi fa i complimenti (anche se a dire la verità sarei stato io a dover fare i complimenti a lui, dato che la classifica mostra 22esimo posto assoluto e primo di categoria) e lo ringrazio perché a sua insaputa è stato lui a mettermi il tarlo del Triathlon.

Saluto gli altri, prendo bici, scarpe e muta e vado verso la macchina.

Solo dopo aver caricato la bici in macchina realizzo cosa ho fatto, un qualcosa che anche solo 1 anno fa era pura immaginazione e fantascienza.

NOTHING IS IMPOSSIBLE, ANYTHING IS POSSIBLE, NEVER SAY I QUIT o più semplicemente tanto sacrificio, impegno e ore di allenamento.

Il Triathlon di Arona è stata un esperienza incredibile; quasi 113 km pieni di calore e tifo, abbracci e lacrime sincere, che porterò con me per sempre.

Ho imparato che quando si pensa di mollare, bisogna fermarsi un attimo e pensare al motivo per cui si è resistito fino ad ora: questo è lo sport, questa è la VITA!

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